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RELATOS DE VIAJE

 

 

Dodici ore di viaggio sospesi in una geografia muta di nuvole e territori disegnati per poi ritrovarsi nello spazio-tempo di un altro luogo, un altro Paese, che emana un’ energia potente,  con la sua storia, la cultura, l’arte. Che ti fa sentire un piccolo atomo, in quel momento quintessenza del tuo essere, l’unica cosa che possiedi.

 

Camminare in una via pedonale a Città del Messico, è camminare in una direzione e anche nel suo contrario contemporaneamente a tante altre persone, è sentirsi spostati da altri corpi, dalla loro andatura ; è tenere l’asse del proprio corpo non perdere la strada, ritrovare la  strada, cercare un racconto nelle espressioni dei loro volti.   E’ anche dare un significato particolare alla spiegazione di una forma di palazzo che diventa racconto di vita, per chi come me vive l’architettura come la messa in forma di un carattere di un popolo, e ancor di più in quel momento di sensi accesi e ricettivi.  

 

 Cammino lungo le pareti dei Musei, studio i  murales,  entro nella loro vitalità anche cruenta nei cambiamenti della loro storia, mi rispondo alla ricerca di un cambiamento più personale , mi provocano , mi sorprendono, cerco di sistemare le mie conoscenze e le nuove immagini, un puzzle di cui comprendo lo sforzo inutile, del resto non mi sono mai piaciuti, sono artificiosi, lascio perdere il gioco mentale e divento parte delle immagini, loro diventano un parte del puzzle che è il mio essere. Semplicemente mi riconosco, all’uscita   compro un cappello e un foulard, comincio a vestirmi delle loro cose, non sto più solo osservando.

 

Il vento asciutto e caldo del nord mi accoglie,  il paesaggio intorno all’aereoporto è secco, ha il sapore del deserto, e mi entusiasma, mi sposto in un altro luogo, appaiono altre forme, le strade sono altre, vuote quasi, forse l’ora pomeridiana.   

Ho voglia di fare una passeggiata per sapere dove sono, incontrarmi con la gente, esco dall’hotel e come  apparsi dal nulla sfilano tre camion scoperti,  in stato di guerra,  carichi di militari dal viso coperto,  mitra spianato, subito dopo un furgoncino  bianco con la scritta “trasbord a l’inferno”: sento uno spostamento fisico, un forte refolo di vento che non c’è e un disorientamento psichico: non è la prima volta, ma così come una visione che diventa più che metafora non  era mai successo.  Penso sia una materializzazione di paure, fantasmi, penso che in un Paese magico appaiano anche le ossessioni subconscie.

 

Ho il privilegio di collaborare con artisti del posto, mi sembra di averli sempre conosciuti, non sento alcuna distanza, ma non solo con loro, è come se la distanza geografica non sia mai esistita, forse la loro immediatezza, forse una cultura latina comune, la convinzione forte è che sia proprio l’arte, a sorvolare sui confini, comprendere l’altro  che  parla un’altra lingua, sentendo la sua visione del mondo, le sue tensioni più profonde, e il rapporto di empatia scatta, in realtà è già scattato e va anche oltre,  Durand le chiama “le strutture antropologiche dell’immaginario collettivo”.

 

Oaxaca, ora sono completamente sola: gli altri sono ripartiti, un indirizzo dove andare, conosco poca cosa del Mexico, ma sufficiente per sentirlo; in realtà il mio viaggio inizia ora, con la fluida decisione di dare un senso personale al viaggio, al di là della manifestazione artistica collettiva, che sarà poi il senso che incontrerò che provocherò: so già che non potrò fare del turismo culturale.

 

Oaxaca, il colore, il sole la bellezza e le lotte che non vedo, ma che intuisco ascoltando i gruppi rock del maggio culturale, leggendo i graffiti sui muri, dalla pannocchia di mais tatuata sulla schiena di Scarlette, dai racconti della festa del 1Maggio, dai manifesti dei campesinos nella piazza, lo Zocalo.   E sfilano continuano a sfilare le camionette dei militari, fuori sulla strada , è come se sentissi i rumori delle loro ruote; sono seduta nel  patio dell’Istituto d’arte grafica, è qui che vengo quando mi devo ricomporre dalle tante differenti emozioni,  è in questo ascolto che mi sorprende una mail che leggo di Marc, un articolo in cui viene impiegata sovente la parola “defiler”, per dire defilare, appartarsi, mail a cui rispondo che qui sfilano, defilent le camionette. Marc  comprende il mio stato d’animo perché mi risponde che io non mi “defilo” . Un gioco di significati che mi rassicura, il disagio sembra allontanarsi, quasi dimentico, quasi non vedo più i militari, forse per questo un mattino, ferma al semaforo, vedo passare, ma non stavano sfilando, se ne stavano  andando una ventina di blindati. Apparsi all’improvviso.

 

Sento che Oaxaca mi viene incontro, incomincio addirittura ad incontrare per la strada,  persone che ho conosciuto al bar del Museo, sono giornate intense di incontri, appuntamenti, voglio realizzare qualcosa con alcuni artisti, non riesco ad accontentarmi del piacere del flaneur,  di guardare: comincio le riprese con alcuni performer del luogo, abbiamo discusso insieme, comincio a girare con la mia piccola videocamera i loro movimenti, i loro corpi che poi saranno mescolati ad altri movimenti, ad altri corpi. Reto, Scarlette, Tania, mi raccontano con i loro corpi il loro immaginario, la loro storia e quella del loro popolo.

 

Ormai mi sento a casa, ritorno con sempre più familiarità all’atelier- appartamento, ad attendermi c’è Carlotta, un cane di strada a cui manca solo la parola, come si dice, eppure anche da lei mi sembra di capire qualcosa della strada qui in Mexico.

Mi ritornano familiari gli sguardi di chi è seduto sulla porta di casa lungo la strada, quando rientro alla sera, sguardi in cui ritrovo un leggero punto interrogativo. Mi chiedo come mi vedono le donne, lo comprendo meglio nel negozio di  generi alimentari  dove vado a far la spesa velocemente, qualche volta. Una delle donne cerca di mettermi a mio agio, intuendo un mio disagio da straniera sola, la figlia preferisce farsi trovare al negozio sempre con un libro in mano, quasi a marcare un altro status sociale, una terza mi tratta semplicemente in maniera brusca. Forse per lei sono che “un’ americana”.

E’ così che mi sento quando, l’ultimo giorno di permanenza, prendo il pullman comune,  e vado a visitare le piramidi: sono contenta di andarci senza passare per quelle agenzie di soli turisti. E’ così, che nel pulmino di ritorno con i lavoratori del Museo  riesco a percepire le varie sfumature  fra loro e  gli sguardi dei campesinos allo Zocalo che rimangono sospesi nel loro interrogarsi: e così che in questo continuo guardarsi, decifrarsi  e non, per un attimo vedo rovesciarsi la poetica del flaneur, dove non esiste più l’osservatore e chi viene osservato, lo straniero e il residente, ma una scrittura di corpi che deambulano in geografie che sembrano destini già assegnati.

 

Elisa Zurlo

 

 

 

 

ESPERIENZA DEL VIAGGIO

Nel viaggio riscopro la mia essenza originale.Anche se non so dove mi trovo, finalmente in un luogo nuovo mi è possibile indagare sulle mie origini. Parlo di quello che di vero c’è in me, di quello che ho di unico, che mi consente - in fin dei conti – di agire creativamente.Non limito queste considerazioni ad un fatto fisico, c’è sempre un’idea di viaggio nella mia mente. Quando da un luogo noto mi muovo verso l’ignoto.Mi sposto per curiosità di una nuova esperienza, perché credo che la mia vita abbia bisogno di costante rinnovamento.Nel viaggiare scopro il mio tesoro interiore.E lo sperimento in una nuova applicazione dei sensi con un’apertura al nuovo e inesplorato, come una via preferenziale per nutrire la creatività che mi appartiene.Quando creo artisticamente aggiungo ad una data visione della realtà un nuovo elemento; questo deriva sempre da uno spostamento di ciò che ero rispetto a quello che sono diventata.La creazione artistica è per me fondamentalmente trasformazione interiore e conseguente restituzione all’universo del risultato di tale cambiamento.Ho molto familiarità con il viaggio spirituale, quello che non pone limiti spaziali.Perché credo che il vero mondo di una persona sia quello che la sua anima riesce a contenere e a raccontare, di volta in volta mutando coerentemente con la vita che cambia e si rinnova.Mi pare che ogni forma di viaggio debba fare riferimento alla sensazione che dentro di noi provoca lo “sconosciuto”.Mi sento fresca ogni volta che apro la vita a ciò che non so, a quello che non ho ancora sperimentato e ad un modo nuovo di sentire e percepire situazioni già note.La vita pare dilatarsi nel viaggio; il tempo trascorso in luoghi, situazioni o pensieri nuovi, assume un ritmo particolare, esperienza questa forse non sempre condivisibile con gli altri, ma sicuramente aderente a ciò che profondamente siamo.Non sento paura nel nuovo perché ne sono assolutamente attratta, perché sono consapevole che ogni nuova esperienza è nutrimento di vita.C’è sempre qualcosa di magico nello scoprire la propria natura profonda.Il viaggio può essere occasione di grande innocenza, perché permette di usare i nostri occhi rinnovati per vedere la realtà, senza la paura di sbagliare.

 

Roberta Cianciola.

 

 

 

AXEL MARTINEZ OCEGUEDA

 

Las nubes se  distribuyen en el cielo cuando  en este video, grabado encámara celular me ayudan a pintar la cruz Ya se que no se va a volver arepetir, cada vez que yo quiera ;  cada  que apriete REC. Pero me parece una comprobación no total,  sino parcial de  como opera, en términos jungianos,  la  sincronisidad con el  patrón universal  del  inconsciente u conciente colectivo. Con la composición que ya  desde varios días antestraía en mente:        disolver  del dibujo  de las coordenadas del mundo ala vertical del poste en primer plano,  con la horrizontal del monte defondo; sincroniza la postura de las nubes. Cuando, grabo la acción,  sinhaberlo percibido anteriormente.  Ya no por un acto de fe, sino por larazón de que se  pudieron   alinear   con   distintas direcciones;  y distribuciones. Pero, no fueron ni irisadas ni un yunque de un cúmulo nimbo,  sino que  me doy cuenta  que   allí estaban., esas nubes son estratos que decidieron descender a un nivel inferior   del cielo  para posar acostadas  en la cúspide de la loma    del eje del encuadre   como si compartieran, esta idea. “La cruz es el patrón,  la imagen de la vida y la muerte     que  innova al Universo y a   sus partes”  me dicen con sus vaporosas palabras.

 

 

 

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